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Il fenomeno corrosivo dei metalli avviene sempre in natura, indipendentemente dai materiali di protezione che vengono applicati sui manufatti metallici, perché le reazioni chimiche che avvengono sulla loro superficie sono di natura elettrochimica.

Queste reazioni sono create dalla dissoluzione naturale dei metalli (con emissione di elettroni, cariati elettricamente negativi, che in cambio danno al metallo una carica positiva) e dalla riduzione dell’acqua e dell’aria dell’ambiente che avvolge il manufatto verniciato e che penetrano, facilmente o con difficoltà, attraverso lo strato del film protettivo che li ricopre (non esistono materiali organici completamente impermeabili): questa resistività al passaggio è misurata in ohm.

Si ricorda che la dissoluzione naturale dell’acciaio porta alla movimentazione elettronica con un potenziale standard di – 0,44 volt; dell’alluminio di -0,167 volt; dello zinco di 0,762 volt: l’area di dissoluzione del metallo è chiamata anodo.

Si ricorda anche che gli elettroni, movimentandosi a 300.000 km/secondo, a contatto con acqua e aria passate attraverso la struttura del film di vernice sovrapposta al metallo, le trasformano in ossidrili (che hanno carica negativa) nell’area chiamata catodo, creando la cellula di corrosione.

La presenza di un metallo, caricato positivamente, e di vari ossidrili negativi porta ad una reazione di neutralizzazione con formazione di prodotti ossidati (nel ferro e acciaio, la ruggine).

Per cercare di vincere questo fenomeno e dare protezione anticorrosiva, nel passato si è ricorso:

  • da un lato all’ossidazione del metallo con un prodotto chimico che reagisce con questo bloccando la reazione di dissoluzione del metallo – ad esempio con la fosfatazione o la cromatazione.
  • Dall’altro sfruttando la reazione del catodo con un altro metallo meno nobile del ferro che si sacrifica ossidandosi al suo posto – ad esempio lo zinco tramite la zincatura metallica e gli zincanti organici e inorganici.

Attualmente, per motivi ambientali ed economici, si sono sostituiti i fosfati che creano fanghi di risulta del risciacqui delle superfici trattate, con i prodotti nanotecnologici applicati in forma nebulizzata.

Poco si è fatto però nel settore della verniciatura anticorrosiva di opere civili e industriali, in cui si continua ad utilizzare cicli di 3 strati di vernici al solvente.

Un campanello d’allarme è suonato quando le norme internazionali di controllo qualitativo, ISO 12.944:2018 hanno specificato, oltre alla durabilità tradizionale, una superiore protezione che dura oltre 25 senza manutenzioni, in quanto i tradizionali tipo di utilizzati non hanno superato i 10-15 anni, mettendo in imbarazzo i produttori di vernici che non dispongono di mezzi pratici per verificare teoricamente la validità dei propri prodotti a riguardo.

Viene allora in aiuto il metodo Acet di prova di laboratorio, secondo la norma ISO 17.463, che permette di valutare se il rivestimento verniciante impedisce la movimentazione elettronica di dissoluzione del metallo (se il voltaggio risulta positivo) e al tempo stesso, se la resistività del film applicato alla penetrazione di acqua e aria è elevata e superiore a 10 alla 12 ohm.

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