Gli attuali sgrassanti alcalini, come prima operazione nel ciclo di pretrattamento di conversione chimica di un substrato metallico, funzionano perfettamente, ma presentano un difetto ambientalmente nocivo: quello di emulsionare oli e grassi che rimuovono, inquinando la soluzione fino a quando diventa satura e non più in grado di sgrassare: è il momento del loro smaltimento costoso.
Gli sgrassamenti nanotecnologici al riguardo, al contrario, non li emulsionano nella soluzione, perché non utilizzano tensioattivi di questa natura, ma monomeri e oligomeri speciali che “strappano” i contaminanti, sostituendosi ad essi sulla superficie alcalinizzata dal bicarbonato di sodio, presente nello sgrassante, e formando anche un leggerissimo film di spessore nanometrico di 5-10 nanometri (visto al microscopio elettronico – fig.1)
Per questo la superficie sgrassata e asciutta non si ossida mai, anche se lasciata per qualche tempo senza rivestimento, come succede invece per gli sgrassanti tradizionali (fig.2).
Così lo sgrassante della STS di Ravenna (Ciro Poggioli lo ha sviluppato) viene chiamato nanotecnologico.
Come risultato gli olii e i grassi rimossi vengono immediatamente in superficie sul pelo della soluzione sgrassante per differenza di peso specifico e galleggiando per incompatibilità olio/acqua, sono eliminati in continuo per caduta in uno stramazzo della vasca contenitrice.
Lo sgrassante, sempre perfettamente pulito, viene completato con il prodotto nuovo, in quantità uguale al consumato durante l’operazione: non c’è più necessità di smaltimento e la durata di sgrassaggio è continua.
Un altro esempio di innovazione delle nanotecnologie, molto utile nel campo del pretrattamento chimico della verniciatura (fig.3).
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