Il settore, chiamato impropriamente “Anticorrosione di opere civili e industriali” – perché tutto il settore della verniciatura industriale di manufatti metallici è soggetto alla corrosione ambientale – è comunque abitualmente quello, il cui ciclo applicativo richiede l’essiccazione dei prodotti vernicianti applicati all’aria ambiente, date le grandi dimensioni dei manufatti e il modesto numero seriale (per centrali elettriche, raffinerie, il petrolchimico , il navale, l’autostradale e molto altro ancora).
Prima della grande crisi economica del 2008 il consumo in Italia dei prodotti vernicianti protettivi si concentrava sulle 50.000 t/anno circa; attualmente si è ridotto alle 35-37.000 t, per la riduzione delle costruzioni civili e industriali, progettate e prodotte preferibilmente all’estero dalle engineering nazionali.
Questa contrazione ha portato definitivamente il mercato della produzione di prodotti vernicianti anticorrosivi nelle mani di multinazionali estere e delle loro rappresentate italiane, indifferenti alle innovazioni tecnologiche, quali le vernici all’acqua, le polveri termoplastiche e altro, convincendo la committenza sulla loro non validità qualitativa (al contrario le innovative vernici all’acqua di natura biologica e a base di prodotti nanotecnologici : al grafene e ai nanotubi di carbonio, raddoppiano straordinariamente la loro capacità protettiva), ma suggerendo sempre i prodotti vernicianti al solvente, che ormai datano da parecchi decenni.
L’Anver (associazione dei verniciatori in proprio e per conto terzi), insieme alla associata INAC (Istituto Nazionale Anticorrosione), qualche tempo fa, aveva cercato di creare, con i produttori italiani di vernici anticorrosive, un pool imprenditoriale in grado di partecipare, grazie alla sua forza unitaria, alle iniziative promozionali, presso il committente, per suggerire di rinnovare i capitolati e le specifiche di qualità, senza alcun successo dovuto alla spinta individualistica dei partecipanti a quell’incontro formativo.
Così i cicli protettivi esistenti attualmente nelle specifiche qualitative della committenza italiana sono ancora quelli riportati nel lontano passato a base di prodotti al solvente, non tenendo assolutamente conto delle difficoltà ambientali create.
Anche gli attuali metodi di controllo qualitativo della resistenza alla corrosione contribuiscono a mantenere lo “status quo”, ormai non più sostenibile, della situazione.
Infatti le uniche prove accettate dalla committenza sono quelle dovute alla resistenza alla nebbia salina, che permettono di far conoscere i risultati positivi o negativi solo dopo migliaia di ore di prova (1.000 ore corrispondono a 42 giorni circa, tempo impossibile per controllare la qualità protettiva dei prodotti vernicianti da applicare subito dopo il loro acquisto e prima dell’applicazione sul supporto : non solo, purtroppo la prova non corrisponde in alcun modo alla realtà protettiva esistente, in quanto le lastrine verniciate in prova o addirittura il manufatto verniciato sono isolati nella camera di nebbia salina, mentre i manufatti metallici verniciati sono sempre elettricamente legati a terra, con movimentazione elettronica attiva).
Esiste invece un innovativo metodo di controllo aggiornato, ormai da tempo ufficializzato dall’ente di controllo internazionale ISO (norma ISO 17.463, detta Metodo Acet), che in sole 24 ore permette di ottenere una risposta oggettiva della resistenza, in volt e ohm (la corrosione è infatti un fenomeno elettrochimico : reazione tra ioni metallici che hanno emesso elettroni – misurati in volt – e idrossidi creati da umidità e aria dovuti al loro passaggio attraverso il film, vincendo la sua resistività – misurata in ohm – ad imitazione accelerata del fenomeno che succede sempre nella realtà.
Contrariamente alla prova di nebbia salina, che invece è una prova di reazione chimica tra acqua salata e metallo nudo, creato da un taglio in verticale oppure da un intagli a X sul film applicato – non a caso le lastrine di prova sono isolate elettricamente e per questo sono necessarie tante ore di prova per verificare che la corrosione provocata all’intaglio con l’eccesso di soluzione acquosa salina sia soggettivamente vista dall’analizzatore degli eventuali difetti superficiali creati, oltre la ruggine.
Sulla prossima rubrica “anticorrosione” sarà presentata un’analisi critica di un ciclo di anticorrosione che va per la maggiore.