Già da parecchi anni, dopo la crisi economica del 2008-2009, lo sviluppo dei consumi delle vernici in polvere in Italia si è fermato (l’anno d’oro del 2007 aveva portato al record europeo di 121.550 tonnellate).
Infatti le cifre di produzione e di utilizzo degli anni successivi lo stanno a dimostrare:
- 2009 = 98.000
- 2013 = 85.650
- 2015 = 79.480
- 2017 = 88.000
- 2020 = 92.350.
In altre parole sembrerebbe che il mercato dell’utilizzo di vernici in polvere abbia raggiunto la sua maturità, perché il campo della metalmeccanica sarebbe completamente soddisfatto dalla produzione attuale.
Invece non è così. Tanti sono i settori ancora disponibili:
- quello dell’automobile
- quello del “coil coating”
- quello dei veicoli industriali
- quello dell’anticorrosione di strutture metalliche
- quello della minuteria metallica
- altro ancora.
Non solo: tutti gli altri settori (plastica, legno, vetro, altro) dipendono oggi praticamente solo dalle vernici liquide inquinanti (anche le odierne vernici all’acqua contengono ancora percentuali di VOC).
Tutto questo cosa sta a significare?
Forse che le singole aziende produttrici di polveri non sono interessate a ricercare formulazioni di polvere innovative per creare nuovi mercati, accontentandosi dei prodotti attualmente esistenti?
Perché non riunire gli sforzi per disporre anche di finanziamenti atti a delegare ricercatori universitari a percorre la strada dell’innovazione “tout court” (polveri in acqua a bassa temperatura di cottura per manufatti plastici; per pannelli in MDF; per “coil coating”; per polimerizzazione UV; per applicazione “a “fiamma” e così via).
E a tempo: prima che le leggi ambientali del futuro costringeranno a disporre di prodotti vernicianti in polvere che ancora non esistono.