DALL’INIZIO

Nel 1968 le vernici industriali utilizzate erano – quasi tutte – liquide al solvente (poche polveri, nessuna vernice all’acqua), applicate a spruzzo pneumatico o ad immersione, ma già l’anno successivo si assisteva all’accelerazione dello sviluppo delle fasi di processo della verniciatura che aveva portato a un iniziale utilizzo dei primi smalti all’acqua – con essiccazione ad aria e a forno a 120°C – formulati con resine all’acqua (prodotte in quel periodo in Italia dalla ditta Ferri Ernesto & Figli, di Treviglio – Bg) e dell’anaforesi nella verniciatura di elettrodomestici (oltre all’immersione tradizionale con primer all’acqua: vedi Alfa Romeo 1750).

Comincia anche la lideranza italiana nel settore delle polveri, in quanto, in questi ultimi anni 60, oltre al centinaio di cabine statiche di spruzzatura manuale funzionanti, la Verind installa il primo impianto elettrostatico automatico al mondo di spruzzatura polveri termoindurenti su cerchioni di ruote per auto.

Negli anni 70 si delineano più precisamente gli orientamenti futuri delle vernici utilizzate nella verniciatura industriale:

  • grande sviluppo delle polveri
  • sviluppo dei fondi e smalti all’acqua (però inferiore a quello delle polveri), soprattutto ana e cataforesi
  • fermata definitiva dei sistemi basati sui poliesteri insaturi con indurimento a fasci elettronici
  • rallentamento dei sistemi che utilizzano prodotti vernicianti UV (se si escludono quelli nel campo della verniciatura del legno)
  • fermata totale dei sistemi a microonde.

Le polveri si sviluppano grandemente grazie all’impegno di aziende come Appia, Savid, Deniel e Pulverlac (oggi ancora esistenti con altri marchi), al contrario dei fondi e smalti all’acqua non elettroforetici, che rallentano ancora la corsa dell’industrializzazione, pur stimolata da tecnici e commerciali di alcuni colorifici, primi fra tutti Duco, Jamcolor, IVI, Lalac, Max Meyer.

Nello stesso periodo non si raggiunge una benchè minima industrializzazione dei prodotti vernicianti in dispersione acquosa (gli NAD), di quelli essiccanti con irraggiamento (IR, FE – fasci elettronici – UV ad indurimento cationico, di quelli elettricamente conduttivi a 24 volt per l’edilizia, che avrebbero dovuto riscaldare gli ambienti interni).

Negli anni 80 si assiste, da una parte, allo sviluppo e al consolidamento, nel mercato dei prodotti vernicianti, di:

  • polveri termoindurenti e termoplastiche
  • fondi idrosolubili per cataforesi
  • vernici senza solventi (solo nell’anticorrosione)
  • polveri termoplastiche a letto fluido.

Dall’altra vari prodotti non avranno diffusione nel mercato:

  • polveri in dispersione acquosa
  • vernici idrodiluibili senza alcun cosolvente
  • vernici ad alto solido (85% di secco)
  • smalti di finitura cataforetica (anche se alcuni imprenditori coraggiosi ne utilizzarono in qualche azienda).

Gli anni 90 sono soprattutto caratterizzati dall’introduzione dell’automazione robotizzata nella verniciatura e dal controllo qualitativo con adatta strumentazione, mentre continua ad aumentare l’uso delle vernici in polvere e rallentare quelle delle vernici all’acqua, sebbene esista qualche tentativo di riaprirne l’utilizzo, grazie alle attività promozionali della Casco Nobel, amministrata da Dino Mallamaci, nonché di inserire la tecnologia Unicarb, che sostituisce i solventi organici in formulazione con gas carbonico liquido, come diluente. Le vernici al solvente, invece, mantengono intatto il loro consumo – elevato – grazie anche all’introduzione degli inceneritori catalitici – detti con un inglesismo, chissà perché, post combustori – installati per abbattere al camino l’emissione dei solventi dalle cabine di spruzzatura e dai relativi forni di cottura.

Nei primi anni 2000 lo sviluppo delle vernici in polvere è irrefrenabile – pur con qualche pausa – tanto che alla fine del 2008 – prima della grande crisi economica e recessiva – la produzione italiana superava le 130.000 t/anno (precisamente 133.500 t): terza al mondo dopo Cina e USA. Riprende leggermente anche il consumo di fondi e smalti all’acqua – ma sono ancora poco utilizzati (65% è al solvente, 7% all’acqua, 4,5% a medio solido, 4,8% è UV, le polveri rappresentano il 14,2%, il restante 4,5% di altre vernici), per un breve periodo per poi rallentare decisamente (da 70.000 t circa a 60.000 circa in quegli anni). Si ricorda anche che i produttori di polveri, all’inizio degli anni 2000, cercarono di espandere il mercato verso il settore dei prodotti a base legno (pannelli in MDF, in compensato e altro) non riuscendo a centrare l’obbiettivo, per vari motivi che è inutile ricordare.

Nella seconda decade del 2000 nel settore delle vernici all’acqua i risultati delle continue ricerche hanno colto nel segno arrivando alla formulazione di prodotti “bio”, in sostituzione di quelli derivati dal petrolio mantenendo pure l’elevata qualità standard, mentre nel campo delle polveri si è ancora fermi all’uso di prodotti epossipoliesteri e poliesteri, con qualche epossidico per i primer e qualche poliuretanica per esterni.

CONCLUSIONE

Quali potrebbero essere gli sviluppi futuri? Alla luce dell’attuale situazione data dalla pandemia è difficile fare previsioni. Ci proviamo azzardando alcune considerazioni nate dall’analisi di quanto è successo nel passato.

Nel settore delle polveri lo sviluppo italiano dovrebbe rallentare per motivi tecnici, economici ed energetici (le polveri a bassa temperatura di polimerizzazione -120-130°C – hanno il problema che “impaccano” durante il trasporto – se non è refrigerato – dal produttore al utilizzatore e le polveri a basso spessore (20-30 micron) riducono ulteriormente, anche rispetto ad oggi, il valore aggiunto tra il costo produttivo e quello di vendita – le polveri UV stentano ad essere prese in considerazione – rispetto ai prodotti all’acqua dove il valore aggiunto è 10 volte superiore.

Inoltre la mancanza di coordinamento tra il produttore di possibili innovazioni nella formulazione delle polveri – ad esempio consideriamo ancora le polveri UV – e quello degli impianti applicativi, che risulta ancora oggi un freno allo sviluppo tecnologico globale del processo, potrebbe essere un’altra delle cause delle difficoltà che portano al rallentamento dell’utilizzo delle polveri, rispetto a quello delle vernici liquide, in particolare all’acqua, che invece si sviluppano soprattutto perché sono più facilmente utilizzabili con impianti di minor costo, che occupano aree più ridotte, di minor consumo energetico, di totale recupero dell’overspray in cabine a velo d’acqua (economia circolare) senza più smaltimenti.

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